Chiarelli, storyteller italiano in Canada
Il siciliano cresciuto ad Hamilton ha partecipato al Festival di Ottawa che si è svolto la scorsa settimana
Di PIERPAOLO RIZZO
Articolo pubblicato il: 2010-12-02
Website link ~ Corriere.com:
OTTAWA - L’Ottawa Storytelling Festival della scorsa settimana ha permesso di godere per quattro giorni dell’arte del racconto. Numerosi artisti si sono succeduti sul palco del Myfair Theatre e del Saint Bridgid’s Centre. Tra gli ospiti della manifestazione anche un attore italo-canadese molto noto, che con la sua armonica ha stregato il pubblico venuto ad assistere ad una serata speciale.
È Charly Chiarelli, classe 1948, nato a Racalmuto, in Sicilia, città che ha dato i natali al grande Leonardo Sciascia: «Ne sono orgoglioso perché se cerchi su internet “autori racalmutesi” trovi Sciascia e me. Penso inoltre di capire la sua anima». Si trasferì con la famiglia in Canada quando aveva appena sei mesi. Artista eclettico prima di tutto musicista, ma anche attore, compositore e scrittore, Charly Chiarelli ha passato la sua infanzia ad Hamilton, ed ha studiato Psicologia, Sociologia e Sociologia del lavoro. La sua opera più famosa è Cu’Fu, del 1997, in cui racconta la storia della sua famiglia che dalla Sicilia si ritrova nel nuovo mondo, con stili di vita completamente diversi da quelli del Paese di origine.
La vita da musicista e scrittore viene col tempo, il suo unico amico sul palco è l’armonica: «Quando ho iniziato a suonarla pensavo che fosse un giocattolo. Ma un giorno, verso i vent’anni, ho ascoltato un tipo alla radio, non ricordo neanche il nome ormai, che suonava l’armonica e lì ho iniziato a sentirne l’interpretazione black. Così ho realizzato che quello poteva essere uno strumento, non un giocattolo, e quando ho cercato di coniugare il blues con il siciliano ho realizzato che ciò aveva un senso».
La sua performance sul palco del Saint Brigid’s è stata strabordante, piena di effetti comici, un connubio perfetto tra musica e racconto.
Cos’è per te lo storytelling e come ti è sembrato questo festival ad Ottawa?
«L’altra sera c’era una forte energia grazie alla presenza dei giovani ed all’alto calibro degli ospiti. Questo è l’inizio di una nuova era per lo storytelling a Ottawa: bella la location, e la novità del cibo, buon cibo, servito durante le performance. Ovviamente il merito va agli organizzatori, ed ai numerosi volontari. Insomma ieri è stato un momento importante per lo storytelling, eccitante, pieno di energia. Non per essere polemico, ma penso al Festival a Toronto che ha ben 33 anni e le persone che lo frequentano hanno più o meno la mia età, 60-70 (ride, ndr)».
Lo scorso ottobre sei stato a Roma per il secondo Storytelling Festival. Qui hai portato in scena la tua prima opera Cu’Fu in italiano. Ci puoi raccontare come è andata?
«Quando ho composto Cu’Fu la lingua principale era l’inglese, con parti in italiano e in siciliano. Questa volta però avevo solo un po’ d’inglese e di siciliano, ed ho tradotto il resto in italiano. Il Festival è stato un momento magnifico, non mi aspettavo una tale energia, e poi gli italiani sono degli organizzatori fantastici, per non parlare della location, il parco Appia Antica. Sapevo che il pubblico avrebbe apprezzato il mio stile perché è molto energico. In più ho giocato molto sull’improvvisazione chiedendo il supporto del pubblico quando vedevo che l’attenzione calava o quando non riuscivo a tradurre una parola dal siciliano all’italiano. La percezione che hanno avuto del mio lavoro, che parla di immigrati italiani del secondo dopoguerra, è stato importante: era difficile essere italiano in Canada negli anni ’50. Ma nello stesso tempo hanno apprezzato anche l’ironia, come nella storia della marijuana e mio padre. Loro hanno capito mio padre, immigrato da un piccolo paese della Sicilia, e hanno trovato molto divertente la situazione. A volte non c’è differenza tra la risposta canadese e quella italiana».
Parliamo allora delle tue origini. Com’è stato vivere a Hamilton negli anni 60-70?
«Ad Hamilton c’è una grande comunità italiana formata da calabresi, friuliani e siciliani. Tantissimi poi sono quelli che provengono dalla sola Racalmuto. Da bambino cercavo di non frequentare solo la comunità italiana. Tutti venivamo dalla povertà ma non volevamo più essere identificati in quel modo. In più quando vedevamo gli show in tv la rappresentazione della classica famiglia americana capivamo che noi eravamo diversi, ma volevamo essere come loro. Solo da adulto e quando sei canadese a tutti gli effetti, inizi a ricercare le tue origini.
Sei mai stato in Sicilia? E sei ritornato a Racalmuto?
Sono appena stato in Sicilia, ma non a Racalmuto, dove sono stato sei mesi fa. Amo i miei parenti di Racalmuto, ma per lo più quando vado in Sicilia è per visitare gli amici, che sono a Palermo o a Siracusa, artisti come me, che mi capiscono. Anche i miei parenti mi capiscono, ma capiscono il mio sangue, le mie origini, meno la mia testa».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«L’anno scorso ho scritto la mia terza rappresentazione, “Sunamabeach”, e spero di iniziare presto la sua promozione. Siamo stati in tour in Canada e ora mi auguro di poter viaggiare in molti altri Paesi. “Sunamabeach” è un lavoro nuovo, e ancora non ho deciso se presentarlo ad un pubblico diverso, o a coloro che mi seguono dai tempi di Cu’Fu. Comunque scrivo praticamente sempre, anche solo per mantenermi in allenamento, nonostante ora la mia priorità sia “Sunamabeach”. Un’altra opera sulla quale sto lavorando è il Decamerone di Boccaccio, che ho messo in scena con altri amici allo Storytelling Festival di Roma lo scorso ottobre.
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